You spin me round (like a zombie, baby)

In genere, sapete bene se ci seguite da un po’, noi di GQ non amiamo le recensioni e non rubiamo il lavoro a chi le fa prima e meglio (cit.), ma l’ultimo gioco della Grasshopper Manufacture ha diverse ragioni per finire su questo sito.
Lollipop Chainsaw è un gioco per Xbox360 e PS3 uscito da un mesetto e racconta la storia di Juliet, liceale cheerleader e cacciatrice di zombie, impegnata a liberare la sua cittadina da un’invasione di non-morti prevenenti da RottenWorld e invocati dal ragazzetto emo della scuola. Janet si veste immediatamente di un fascino camp, tutto è eccessivo, tutto è esagerato, tutto è assurdamente pop: dalla sua motosega rosa, ai cuoricini che fuoriescono dalle arterie degli zombi assieme ai copiosi fiotti di sangue. L’immaginario giapponese di Goichi Suda (Suda51), già celebre per il suo Kawaii ricoperto di mainstream americano, incontra la penna trash di James Gunn, figlioccio di quel Lloyd Kaufman della Troma.



La struttura del gioco è smaccatamente occidentale e chi ama l’ironia di film cult quali Tromeo and Juliet o Slither, troverà momenti altamente cinematografici e memorabili.
A ogni schizzo di sangue lo schermo si riempie di arcobaleni, scritte al neon tirate fuori dalle cabine fotografiche di Tokyo, mentre il feticismo voyeristico di lolite in abiti da liceo, o quello ormai più celebre per la biancheria intima adolescenziale, viene preso direttamente dalle pagine dei manga giapponesi, degli hentai erotici, in una salsa che sa di americano preconfezionato, un gusto statunitense farlocco e finto, di chi gli Stati Uniti li ha vissuti solo attraverso i teen-movie o i telefilm degli anni ’90.
Juliet è bionda fino allo scheletro (uno scheletro grazioso con le orbite degli occhi a cuoricino e i codini ai capelli), superficiale e sciocchina, oca e leggera quanto basta per ridere delle sue gaffes, della sua timidezza e della sua ingenuità, rivelando di conoscere diverse tecniche di arti marziali, un giapponese fluente, e una famiglia che conta più di un personaggio sopra le righe.

Se una determinata sequenza potrà sembrarci già abbastanza colorata, fumettistica e da quel gusto (cherry)pop, ecco che Suda51 raddoppia il carico, moltiplica il messaggio e ci si ritrova a decapitare zombie guidando una trebbiatrice sulle note dei Dead or Alive, usare la super-forza diventando cangianti e ballando “Mickey”, ascoltare “Pac-man Fever” correndo lungo un labirinto buio illuminato da neon (come a caricare all’ennesima potenza il significato già esplicito e renderlo ancora più stucchevole), o fare shopping sulle note anni ’50 di “Lollipop” e quelle rock di “Cherry Bomb” delle Runways di Joan Jett.
Non è un caso che la musica si spartisca il peso intero di questo immaginario fatto di hardcore, metal, rock puro e le armonie degli anni dai colori pastello: i boss da affrontare -i cattivi che ci rappresentano al negativo- sono stili musicali netti e definiti, mentre l’immaginario di Juliet è una macedonia che va da Los Angeles a Hong Kong: la Ayumi del manga di Is this a Zombie? si ritrova nella filmografia di Lucio Fulci, il liceo San Romero nell’anime Highschool of the Dead.

Strizzatine d’occhio all’universo lgbt si contano disseminati in questo gusto camp, kawaii e colorato: dalla testa del povero fidanzato innestato sul corpo di una cheerleader zombie, al momento in cui viene truccato come la più colorata delle drag queen o dal messaggio in segreteria lasciato dalla sorella in cui asserisce: “Sono gay? Io amo i gay!”. I giochi della Grasshopper ci hanno sempre abituati agli stereotipi divertenti e mai offensivi, come l’istruttore di arti marziali in tenuta madonnara “Hung up” o il sensei mafioso in attesa della sua marchetta (rispettivamente in No more Heroes 2 e 1), stereotipi che non risparmiano nessuno, che ricalcano e ricalcano, lasciando in piedi solo uno zombie comico.
Lollipop Chainsaw andrebbe giocato non solo per le sue citazioni cinematografiche, fumettistiche e per il virtruosismo del meta-mezzo (come nel livello della sala giochi), ma per il puro divertimento che un’opera creata senza limitazioni (e confini) d’immaginario riesce a regalare.
Non per molte ore, ma sicuramente indimenticabili.

Qui sotto la colonna sonora.

GQ

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