La trans-avanguardia ferma agli anni ’50

Mi perdonerete se per una volta non vi parlerò di videogiochi, fumetti e nerdate varie, ma proprio ieri un amico mi ha fatto leggere un articolo pubblicato sulla rivista Gioia (TRANS AVANGUARDIA di Monica Piccini) che mi ha lasciato alquanto indignato. Si dovrebbe raccontare di come la spiaggia di Capocotta a Roma sia diventata un luogo che accoglie e aggrega la comunità transgender. Un articolo che si apre citando gli anni Cinquanta, ma che sembra uscito proprio da quegli anni lì. Ho voluto lamentarmene con i miei amici e con chi mi segue su Twitter, e l’autrice del pezzo mi ha chiesto gentilmente di motivare il mio disappunto, quindi rubo un po’ di pixel al blog e cercherò di spiegare un po’ cosa c’è di (tanto) sbagliato. Schermata 2014-08-08 alle 11.11.52

L’articolo di Monica Piccini inizia proprio con un intento didascalico in cui spiega che le transessuali MtoF (Male to Female, ovvero da uomo a donna) le riconosci dal seno esplosivo della chirurgia, dalle mascelle squadrate e dai bicipiti. Tralasciando, per il momento, l’affermazione tutta personale dell’autrice, ho sottolineato quell’articolo determinativo (eh sì si chiama proprio così, perché determina) femminile perché è importante che alle persone si dia almeno il rispetto della lingua e alle persone transessuali la concordanza di genere. Non è solo una questione di grammatica ma di educazione e sensibilità.
Persistere col genere maschile in tutto l’articolo è un continuare a ricordare (a chi?) categorie preconcette, un modo per cercar di rimettere al proprio posto, rifiutare, continuare a dettare le proprie di regole.

Ma purtroppo le concordanze sono il minore degli errori in questo articolo: alla povera “Lady Pantera” viene addirittura pubblicato il suo nome maschile, così, per tutti quelli che possano pensare ci sia una speranza di esser considerate donne.

Schermata 2014-08-08 alle 11.45.51

Continuo a leggere di Delfina che fa ancora la vita e “cosa ne pensi il suo fidanzato cementista non è dato sapere”. Ma a chi dovrebbe farlo sapere? All’autrice? Ai lettori? Ma è l’articolo di una rivista o solo chiacchiere tra comari? E la storia di Manuela? Ovviamente anche lei presentata come una trans con la barba e le extentions bionde, lei che non ha fatto “l’asportazione del pene” perché ne va della salute mentale e tre amici si sono suicidati dopo essersi pentiti. “L’asportazione del pene” ricorda quasi una pizzeria in delivery, con buona pace della scienza e della medicina.

E poi leggo la frase più vergognosa di tutte, quella che mi ha spinto a scrivere il tweet, quella che mi ha portato a scrivere questo post:

“Tra i plus di Capocotta, secondo il trans con sembianze da donna e organi sessuali maschili…”

Quel ricordare sempre in tutto l’articolo dei genitali maschili, utilizzare termini come “sembianze” che suggeriscono maschere, travestimenti e identità nascoste e sordide che manco i freaks di Browning si meritavano, a me suona come un tristissimo e disperato tentativo dell’autrice di non soccombere sotto le macerie delle sue tre o quattro convinzioni strampalate, impartite da chissà quale catechesi. Come cercare di spegnere un incendio con un bicchier d’acqua mentre la casa è avvolta dalle fiamme e non c’è più scampo. In una parola sola: transfobia.

Tutti possono scrivere di qualsiasi argomento, ci mancherebbe, ho disquisito con i miei amici di temi che mi erano oscuri e sconosciuti e l’ho fatto con un tweet, su facebook, ma resto dell’idea che quando si scrive per una testata nazionale, un giornale, un sito o un blog di riferimento, il lettore dia per scontata una certa autorevolezza al giornalista che scrive.
Io non mi sognerei mai di scrivere un articolo sui cassintegrati della FIOM senza aver studiato, letto, chiesto, parlato, e anche dopo aver scritto il pezzo mi preoccuperei di farlo leggere a qualche esperto per dei consigli, per evitare castronerie che possano offuscare il mio pensiero o il messaggio di base: perché ho scoperto con l’esperienza che le migliori intenzioni possono diventare nocive se subissate di errori o pregiudizi. E perché un buon articolo è quello con un messaggio tanto chiaro quanto inattaccabile.

Schermata 2014-08-08 alle 11.46.03

Il mio amico Vincenzo scriveva:

A un certo punto, in un inciso leggo “secondo il trans con le sembianze da donna ma gli organi sessuali maschili”. Ma a voi pare normale in un inciso trovare un riferimento agli organi sessuali di chi parla? Ma se io scrivessi: “Dice Gianfranco Fini, che dal naso parrebbe avere il pisello grosso, poi invece….” o addirittura “Dichiara Angela Merkel, dal chiacchierassimo neo sulle grandi labbra…” esiste un direttore che me la farebbe passare? E perché invece quando si parla di trans (e con trans si è già detto tutto) dopo tre parole arriva una didascalia sul pisello, le tette rifatte o i segni della barba (ci sono tutte e tre in questo magnifico pezzo.

Già, Monica, perché?

È una questione di responsabilità, ecco, specialmente su alcuni temi sociali. Sul rispetto delle persone la responsabilità deve pesare come un macigno: in un paese in cui mi negano qualsiasi diritto e legge, mi auspico almeno che un giornalista, una persona che conosca bene l’importanza delle parole, non mi manchi di rispetto negandomi anche le parole adatte, una concordanza, una declinazione, o togliendomi la dignità con delle virgolette (Beach “boys”). Io, con uno sforzo di chi è sensibile alle tematiche LGBT, posso anche notare la sua intenzione pacificatrice -ahimè, con tanto di citazione colta sulla diversità, nel finale-, ma quello che rimane in conclusione è quel gusto di pregiudizi ancora vivissimi, di un’evoluzione culturale che non l’ha manco sfiorata, di una società che è ferma ancora all’idea delle “sembianze”.

E forse ha ragione Monica, Capocotta è un luogo in cui la comunità LGBT ha preso le distanze da una certa ignoranza, ma ha preso le distanze proprio dal suo modo di vedere e trattare le cose.
La transfobia o l’omofobia è proprio questo, barricarsi nei propri pregiudizi, riproporre stereotipi che non appartengono alla realtà; è non ascoltare le persone, non riuscire ad andare più in là del proprio analfabetismo funzionale.

Mi risponde sempre il mio amico Vincenzo con cui si discuteva che accanto all’ignoranza e all’incultura, in questo articolo c’è l’assenza totale di intelligenza emotiva. Ma Monica, lei non si fa mai un giro nelle scarpe degli altri, come invece fanno  o hanno fatto i grandi giornalisti, da Oriana fallaci a Ettore Mo?
Si è mai pensata su un marciapiede a fare la vita, per guadagnare i soldi che serviranno a cancellare definitivamente dal cuore e dagli occhi degli altri – prima che dalla propria pelle – i segni della barba?
E in realtà bastano esercizi ben più semplici per dotarci di questo quid in più.
Se Monica la ipotizziamo un tempo obesa oltre i 100 kg e ora dimagrita dopo tanti sacrifici, potremmo per caso chiamarla “ex grassa”, o “ex castana” dopo la decolorazione? Oppure “rifatta” o “ex piatta” dopo la mastoplastica additiva?
Anche il velo di correttore che stende sulle occhiaie ogni mattina è un atto di costruzione dell’identità, che è sempre autodeterminata. A quell’autodeterminazione si deve rispetto: chi lo nega, chi violenta col maschile un’identità femminile conquistata con sacrifici, commette un atto barbaro, crudele, disumano.

«Ma ciò che fa davvero la differenza è che qui non c’è posto per l’ipocrisia» si legge nel finale, che dopo un articolo di questo tenore suona come una battuta comica.
Se invece di quanto fin qui detto, crede che nulla l’appartenga, allora Monica vuol dire che quella da giornalista è solo una sembianza.

7 thoughts on “La trans-avanguardia ferma agli anni ’50

  1. Maria says:

    Buingiorno,
    Vorrei, per favore, sapere qual’ e’ la differenza tra “travestio” e’ “transessuale”. Vorrei anche sapere “transgender” perche le persone preferiscono chiamarsi cosi’ (esempio: V.Luxuria) quando non pensa di farsi operare per cambiare sesso. Allora domando perche’ “auto applllarsi” transgender se’ non si vuole parlare di organi. Scusatemi, ma la mia domanda e innocente, senza cattiveria.
    Grazie

    Rispondi
    1. geekqueer says:

      Proverò a essere sintetico e mi prometta Maria, se è curiosa e ha voglia di imparare, di cercare in rete degli approfondimenti.

      Travestito/a è una persona che ama vestirsi saltuariamente con un abbigliamento dedicato all’altro sesso.

      Una Drag Queen invece si traveste per spettacolo, è un attore che ama impersonare personaggi femminili con gusto camp. Esistono anche bravissimi Drag King, ovvero donne che impersonano sul palcoscenico uomini e icone dello spettacolo maschili.

      Transessuale è una persona che sta affrontando un cambio di genere.

      Transgender è un termine più ampio che comprende non solo i e le transessuali ma chi esula dalla dicotomia dell’identità solo maschile e femminile imposta dalla cultura. Le identità sessuali possono essere più fluide in fondo chi decide oggi nella cultura cos’è maschile o cosa è femminile?

      Stia attenta mi raccomando, l’identità di genere (come io mi sento e reputo) può esser diversa dall’identità sessuale (quella biologica) e sta a me decidere se adeguarmi chirurgicamente o meno, ma nessuno può decidere come io debba essere.

      Questa è libertà personale ed è alla base di una civiltà serena, democratica e progredita.

      Rispondi
  2. Luigi Lct says:

    Ho letto l’articolo che ho scoperto da un tuo intervento da amici comuni su Facebook. Mi viene solo da pensare una cosa. Tu che scrivi un blog sai che in Italia i giornali e le redazioni hanno sempre una linea editoriale. Il mio sospetto è che il problema possa risiedere nel fatto che il giornalista, al di la delle sue conoscenze o dalla sua ignoranza, possa aver scritto il suo articolo, dovendo seguire la linea editoriale del giornale. Cercherò di essere più chiaro: io giornale ti impongo a te giornalista che se vuoi che ti pubblico l’articolo devi scrivere che le trans MtoF sembrano uomini travestiti e lo devi rimarcare in continuazione, se non lo scrivi così io giornale non ti pubblico l’articolo. Le testare giiornalistiche italiane di destra sono così, infatti vedi il quotidiano Libero lo scempio quotidiano che compie ogni giorno parlando di gay e lesbiche dipingendole nei modi peggiori. Quindi fossi in te verificherei il giornale Gioia per capire quale linea editoriale seguano in generale. Complimenti per la tua scrittura scorrevole.

    Rispondi
    1. geekqueer says:

      Ciao Luigi, immaginare uno scenario come quello da te ipotizzato (anche per le riviste di moda) mi spaventa e spero che non sia questo il caso e ti dirò neppure lo credo. Che ci sia un’ignoranza da parte del direttore è palese e non solo per questo articolo ma per altre tre o quattro brutture ripetute in tutta la rivista.
      Io controbatto a quello che leggo, iniziare a ipotizzare anche dietrologie così terribili non se ne uscirebbe più, e io non vedo l’ora di tornare a parlare di videogiochi;-)
      grazie mille per il complimento.

      Rispondi
  3. Marpo says:

    Complimenti per l’articolo!
    Volevo solo dire che credo sia ben vero quel che ha scritto Luigi lct poco sopra.
    Le linee editoriali sono importantissime, basta vedere come cambiano di colpo idee i giornalisti che passano da un quotidiano ad un altro.

    Rispondi

Rispondi a Marpo Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *