“A me le etichette stanno sul cazzo”

“A me le etichette stanno sul cazzo”, “Con tutte quelle lettere nell’acronimo siete ridicoli”, “E non vogliamo inserirci anche gli amanti di Star Wars?”. Famo a capisse una volta per tutte.

Il nostro Paese viene da una storia di rimozione, negazione e reticenze: confino, leggi di repressione fasciste mancate perché “in Italia non esistono”, sottrazione dal discorso politico, comunità dimenticate, morti di cui nessuno parla/va.Per molto tempo noi in questo Paese non siamo esistiti. E una cosa non esiste quando non ha nome.

C’è un grande equivoco retorico sulla questione “etichetta”: una cosa che ti viene affibbiata contro il tuo volere, che resta attaccata, che non puoi cambiare, in cui non ti riconosci; ma l’acronimo LGBTQIA è fatto di “definizioni”, non di etichette, e le definizioni servono prima di tutto a comprendere, gli altri e sé stessi (autodefinizione).

Anni fa si usava solo gay, per tutti, per donne, per i e le transessuali, per i bisessuali, tutti erano “gay”. E qualcuno giustamente ha detto “ehi, ma questo termine non mi rappresenta, non rappresenta quello che sono, le mie lotte, le mie problematiche, le mie istanze politiche”. Essere gay è diverso che essere lesbica, essere transgender è diverso da essere intersessuale, son percorsi diversi. “Gay” era diventata un’etichetta per tutti quelli in cui non si riconoscevano. E da un’autodefinizione, da un’autocoscienza, ecco la nascita di tante autodefinizioni, di tante autocoscienze. Definizioni che scegli, che riconosci, per comprendere te stesso e per comprendere gli altri; per dire: “esisti anche tu e fai parte della realtà”.

Per questo non solo amo l’acronimo LGBTQIA, ma amo l’acronimo completo LGBTTQQIAAP perché è inclusivo, perché non lascia fuori nessuno, perché se nessuna di quelle sfumature ti corrisponde, c’è un movimento che è pronto ad accettare una nuova lettera, a riconoscerti, a supportarti. Ed è una cosa bellissima, è alla base dell’inclusione, anzi, alla base del movimento stesso.

“Non amo le etichette” mi ripeti, ed è giusto, nessuno le ama, ma amo le persone risolte, che hanno attraversato le braci dell’autodefinizione e dell’autocoscienza e hanno compreso (e amato) uno dei centomila pezzi di cui siamo composti. E se quel pezzo lo ignori, non esiste. E allora avranno vinto loro.

Buon PRIDE a tutt*, proprio a tutti tutti.
Geekqueer

P.S.: E se continui a rifiutare le “etichette”, indovina un po’, c’è una definizione anche per te. Perché ti vogliamo bene lo stesso, anche se ancora non ci arrivi.

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